L’ultimo anno di high school le ha portato anche il titolo di atleta dell’anno, ora una breve pausa e poi gli Stati Uniti saranno nel futuro di Emma Arcà anche nei prossimi quattro anni.
Emma, innanzitutto raccontaci: dove e cosa hai studiato quest’anno negli Stati Uniti e dove hai giocato?!
Quest’anno ho frequentato l’ultimo anno di high school americana a Saint Andrew’s School, a Barrington in Rhode Island. Ho frequentato classi di Matematica, Fisica, Inglese, Filosofia, Ceramica, Scienze dello Sport e Storia. Ho giocato in Autunno e in primavera con il Rhode Island Basketball Club e in inverno con la Squadra della scuola.
Com’è nata questa opportunità? Avevi già in mente di viverla, c’è stato uno spunto, un episodio, una persona che ti ha spinto a farla o sulla cui base hai preso poi la scelta di provarci?
L’idea di fare un anno all’estero è sempre stata qualcosa che avrei voluto fare, e quando l’anno scorso è arrivato il momento di organizzare la partenza, tramite alcuni miei allenatori che mi hanno messo in contatto con Xavier di Crosser Sports Agency, ho capito che avrei potuto sfruttare il fatto che gioco a basket per trovare un piazzamento ideale e così è stato.
Con quale sensazione ti sei avvicinata al momento della partenza e come hai vissuto, invece, l’impatto vero e proprio con l’arrivo, le nuove abitudini ecc…?
Avvicinandomi al momento della partenza ero entusiasta di poter vivere un’esperienza così unica e di immergermi nella cultura americana, ma allo stesso tempo ero preoccupata all’idea di non riuscire ad adattarmi a questa nuova vita lontano dalla mia famiglia e dai miei amici.
C’è stato un momento in cui hai pensato di “non farcela” e se ti guardi indietro, in cosa ti senti di essere stata brava magari a non mollare?
Sicuramente ci sono stati momenti in cui ho pensato di non farcela. Adattarmi a una nuova cultura e fare nuove amicizie non è sempre stato facile. A volte mi sentivo un po’ isolata e mi mancavano la familiarità e il comfort della mia vita in Italia. Ho sempre però cercato di superare i momenti difficili ricordandomi del perché avessi deciso di intraprendere questo percorso: per imparare, crescere e aprire la mia mente a nuove esperienze
Descrivici una tua giornata tipo…
Sveglia alle 7:30 con inizio delle lezioni alle 8. Tutte le mie lezioni erano di un’ora e 20 e la mattina ne avevo due con una pausa di 40 minuti in mezzo. Dalle 11:20 alle 11:55 avevamo il pranzo, e dopo altre due lezioni. La giornata scolastica finiva alle 2:50 e alle 3:15 iniziavano gli allenamenti che duravano più o meno fino alle 6. Poi la cena e dalle 7 alle 9 avevamo due ore per fare i compiti/ rilassarci dentro il dormitorio e dopo le 9 avevamo del tempo libero.
Studio e sport: una questione in Italia troppo spesso sottovalutata, quasi con la costrizione di dover scegliere tra l’uno e l’altro. Che cosa ti senti di dire allo sportivo che rinuncia a proseguire nel percorso di studi e allo studente che smette di praticare sport col rischio di non farcela?
Che è possibile proseguire un percorso di alto livello in entrambi gli ambiti. Nonostante in Italia troppo spesso si senta che le due cose non sono compatibili ci sono invece altre realtà nel mondo, come quella che io ho trovato negli Stati Uniti, dove un percorso di questo tipo è incoraggiato e stimato.
Lo studio e la cultura del “voto” più alto cui dover ambire: a cosa è invece improntato lo studio negli Stati Uniti? Pensi sia più forte la proiezione all’apprendimento di nuove competenze e abilità, che alla conoscenza teorica?
La scuola e la percezione che sia studenti che professori ne hanno è completamente diversa da quella che invece è la realtà italiana. Il carico di studio è sicuramente minore, ma penso che la differenza principale sia il supporto che in ogni momento viene offerto da tutti i membri della facoltà. Si ha sempre la possibilità di parlare con un professore, di arrivare in classe prima o rimanere quella mezz’ora extra per fare in modo che nessuno rimanga mai indietro, o di mandare una mail per chiedere un’estensione sulla consegna di un progetto o un tema. Tutto ciò ha come risultato un’atmosfera scolastica tranquilla e piacevole in cui studenti e facoltà non sono in conflitto, ma lavorano insieme per raggiungere risultati didattici con serenità.
Inoltre il sistema scolastico in sé varia molto, c’è un approccio molto più pratico all’insegnamento di molte discipline. Per esempio nelle mie due classi di scienze trascorrevamo la stessa quantità di tempo in laboratorio di quanto ne passassimo in classe.
Nelle le classi più “classiche” invece, come potevano essere letteratura, filosofia e storia, abbiamo sempre dedicato molto tempo al dibattito dandoci la possibilità di confrontarci con persone con idee e prospettive diverse.
Sotto l’aspetto culturale immagino tu abbia incontrato e conosciuto anche compagni al di fuori degli Stati Uniti: come ti ha arricchita questa esperienza e cosa pensi di aver imparato / dovuto imparare anche nella gestione della tua vita quotidiana, che in Italia con la famiglia non dovevi fare?
Essendo St Andrews una Boarding School internazionale molti dei miei amici e compagni provenivano da diverse parti del mondo, cominciando dalla mia compagna di stanza, Eliska, che viene dalla repubblica ceca. Confrontarmi con culture e tradizioni nuove è da sempre stato qualcosa che mi ha molto incuriosito: sono convinta che conoscere cose nuove sia il modo migliore per maturare una prospettiva più ampia sulle cose.
Torniamo al campo: ci fai un riassunto anche “agonistico” della tua stagione?
Con la squadra ho viaggiato molto: sono stata a Phoenix, in Arizona, diverse volte a New York, in New Jersey e in Pennsylvania. Per non parlare del mio campionato per cui sono stata in cinque stati diversi. La stagione è andata bene, abbiamo avuto un record di vittorie positivo e abbiamo fatto molto bene nei tornei, anche se per una sconfitta di 5 abbiamo perso la partita per accedere ai quarti di finale.
A livello individuale la mia stagione è andata molto bene e si è conclusa con il riconoscimento individuale di Atleta dell’anno.
Quanto conta la cura dell’aspetto fisico – atletico nel gioco statunitense e cosa invece sia preponderante del modo di giocare “europeo”?
Il basket americano è più veloce e soprattutto più fisico. Questo salto è stato abbastanza difficile per me poiché sono passata da essere sempre una delle giocatrici più “grosse” ad essere la meno fisica. Si corre molto e c’è sicuramente più libertà di mettere in mostra il proprio talento individuale in quanto gli schemi prevedano più libertà nello sviluppare un’azione laddove si riconosca di avere un vantaggio in confronto al proprio difensore.
L’Esquilino continua a coltivare e rafforzare la sua forte tradizione in campo femminile: un suggerimento per le nostre ragazze più giovani?
Il mio consiglio è di allenarvi sempre duramente e di non lasciar mai che nessuno vi dica che qualcosa è impossibile. Perché fin quando amerete questo sport e sarete pronte a lavorare forte ogni obiettivo può essere raggiunto.
E’ un’esperienza che consiglieresti di vivere?
Si, assolutamente.
Che cosa c’è nel tuo futuro, una volta chiuso quest’anno: è un ritorno a casa o solo un preludio ad una permanenza più lunga ed una nuova esperienza accademico – sportiva negli Stati Uniti?
Adesso sono a Roma dove trascorrerò l’estate con la mia famiglia e a fine Agosto tornerò a Boston dove inizierò il College. Infatti avendo ricevuto diverse offerte di borse di studio complete per continuare la mia carriera cestistica e scolastica negli stati uniti ho scelto Stonehill College, con il quale disputerò il campionato NCAA di prima divisione il prossimo anno.